Per molte famiglie – forse per tutte – il centro della casa è la cucina. È la stanza dove si mangia, quella dove ci si riunisce. Il suo ruolo nella nostra vita quotidiana è così importante da farla diventare il contesto ideale nel quale immaginare – sognare e vagheggiare – un elettrodomestico intelligente.
Un frigorifero smart, e connesso.
È dal 1998 – anno dell’introduzione del primo smart fridge – che la tecnologia ci lavora. Sono quasi vent’anni che il frigorifero intelligente rappresenta l’avamposto concettuale dell’idea di oggetto connesso, intelligente, in grado di interagire con l’ambienta circostante: integrando la propria funzione originaria con la raccolta dati, e in grado di reagire a variazioni delle condizioni dell’ambiente circostante – e non solo.
Le previsioni danno le vertigini. Entro il 2020, ogni famiglia possiederà 500 oggetti connessi ad internet. Sempre entro la stessa data ne saranno funzionanti, complessivamente, attorno ai 50 miliardi.
Immaginare l’evoluzione della tecnologia, l’impatto sulla nostra vita quotidiana, le conseguenze – individuali prima, sociali poi – di una simile rivoluzione può alimentare i voli pindarici delle fantasie più sfrenate.
Potete ad esempio leggere il racconto The lich House di Warren Ellis, e farvi venire qualche brivido (lo trovate in rete).
La discussione tecnica attorno all’Internet of Things è intensa. Tuttavia, oltre all’aspetto tecnologico vi sono tematiche che non sempre vengono considerate ma che, all’opposto, risulteranno presto di capitale importanza.
L’Internet of Things (IoT) è il nome collettivo dell’insieme – quel numero vertiginoso del quale si parlava in apertura – di device, oggetti e macchine connessi a Internet, che attraverso la rete scambiano dati e comandi e che dovrebbero, in breve, semplificarci la vita, ed espanderne le possibilità.
L’IoT 1.0 è nato nell’ambito dei servizi B2B: le prime, pionieristiche applicazioni erano di ambito machine to machine. Lavoravano per logistica e sicurezza, principalmente, e il design – perché di questo vogliamo parlare – era l’ultimo dei problemi: poteva davvero avere una qualche importanza l’estetica di un device di tracciamento satellitare montato sul furgone di un corriere?
Questo è il punto focale, e anche quello che può indurre progettisti e tecnocrati (ancora) in errore: l’IoT non prevede la presenza di un utente finale. Anzi: l’utente potrebbe – e forse dovrebbe – rimanere all’oscuro dello stato di connessione di un device. Un iPhone non è IoT: il termostato che ci permette, attraverso un’App installata nel nostro smartphone, di controllare la temperatura di casa mentre noi siamo a lavoro, lo è.
Questo errore ha già avuto una prima conseguenza: la tecnologia B2B, disattenta al design, è stata imposta come necessità agli utenti, i quali si sono trovati in mano strumenti estremamente tecnologici – nati per lavorare in ambiti dove le prestazioni devono essere impeccabili – senza la possibilità di capirli appieno.
Si trattava di strumenti ai quali mancava la considerazione del valore emozionale, della connessione fisica utente-oggetto. Oggetti al quale mancava insomma il design: la user interface.
Un problema che veniva imputato a una mera carenza tecnologica: ancora, sbagliando.
Il senso ultimo dell’IoT deve essere quello di arricchire l’esperienza quotidiana dell’utente, portando nuove esperienze.
Il circolo vizioso si interrompe accogliendo la grande sfida dell’IoT 2.0: accettando il design come disciplina che può – e deve – dialogare con la scienza e la tecnica, e che grazie a questo dialogo può portare solamente benefici.
Proprio perché l’IoT deve apportare nuove esperienze, il suo design deve essere raffinatissimo, e innovativo. In questo modo si può sperare di superare l’hype che circonda attualmente l’IoT: non più quindi una bolla cool e ipertecnologica, ma un vero contributo al benessere umano.
Il passaggio all’IoT 2.0 porta con sé una sfida di grande portata per le Aziende che se ne stanno già interessando, e per quelle che lo faranno a breve: non solo sarà necessario accogliere l’importanza del design, ma risulterà fondamentale anche capire il valore di un buon design.
E questo è un processo di aggiornamento e innovazione che deve informare non solo i dipartimenti tecnologici di un’Azienda, ma anche i processi progettuali.
I punti sui quali un’Azienda deve lavorare sono, in linea di massima:
È evidente come la sfera tecnologica e quella del design dovranno muoversi sempre più di comune accordo, intersecando competenze e piani di progetto.
Cruciale sarà la creazione di un dialogo tra grandi Aziende, portatrici della propulsione tecnologica, Università, che rappresentano il mondo della ricerca, e PMI, che forniscono servizi e prodotti on top ai device IoT. In questo modo si potrà permettere al tessuto produttivo italiano di accedere a un mondo tecnologico che è ancora troppo frammentato per portare competitività positiva.
Se la prima spinta evolutiva dell’IoT è stata la connettività capillare, la prossima – quella che ci porterà all’IoT 2.0 e alla relativa business transformation – sarà la massificazione dei device connessi e smart, e il conseguente impatto sugli utenti.
L’IoT è una galassia di oggetti intelligenti, il cui comportamento cambia in risposta a variazioni dell’ambiente circostante. Una galassia mappabile di device che dialogano tra loro, interconnesse. Una ragnatela che interseca tutti i piani della vita umana monitorando, regolando, interagendo. Non esiste ambito nel quale l’IoT non sia già in utilizzo. L’aggettivo smart informa la domotica, gli edifici, le città e la mobilità urbana. Vengono monitorate le industrie e le catene produttive robotiche. Ne sono influenzate l’automotive, con il sogno delle self driving car. La sanità. Le forme di digital payment.
Reti di telerilevamento, mappatura e precision farming sempre più massiccia informano agricoltura, zootecnia, gestione del territorio.
Una lista esaustiva di tutti i settori dove l’IoT trova applicazione forse non è neanche più concepibile.
I colossi mondiali – Samsung, Google, Ford, GE – si sono già organizzati per capire come entrare nel gioco dell’IoT nel modo più profondo possibile, cogliendo da subito il senso possibile della rivoluzione.
Una rivoluzione che sarà emozionante, per il potenziale creativo e innovativo, e surreale al contempo: perché una buona parte delle persone ancora non sa cos’è, l’IoT. Infatti i prodotti dovranno essere spiegati, e capiti. Si tratterà di una fase di adattamento alla vita dell’utente, che dovrà avvenire possibilmente senza strappi.
I designer e gli inventori di UI/UX si troveranno a giocare una partita importantissima.
Possiamo stilare una lista di fattori critici, dei quali il designer di device connessi – e, quindi, le Aziende che li produrranno – dovrà tenere necessariamente conto.
È evidente come si tratta di una partita complessa, composta di sfide intriganti a loro volta connesse tra di loro, come lo saranno, sempre di più, i device dell’IoT 2.0.
La tecnologia insomma è solo una porzione della rivoluzione che ci aspettiamo. E non nascondiamo la curiosità che abbiamo, aspettando di vedere l’ingresso dei designer nell’ideazione e nell’elaborazione di device che ci auguriamo saranno sempre più – oltre che utili, connesse, smart – coinvolgenti.
Nel senso più ampio possibile del termine.